L'Estate Romana di Renato Nicolini, Gangemi, Roma 2013
The Roman Summer of Renato Nicolini, Gangemi, Rome 2013

Introduzione di / introduction by: Ruggero Lenci



 

Chi altri poteva catalizzare l’interesse che ha permesso un riavvicinamento tra il mondo degli architetti e quello degli altri artisti se non Renato Nicolini, suscitando quell’entusiasmo necessario a rendere possibile un evento collettivo finalizzato a rievocare una stagione romana che in mancanza di simili iniziative potrebbe perdersi nel silenzio degli abissi della memoria o nei polverosi scaffali degli archivi storici? La nostra città, con i suoi splendori archeologici, le ville storiche, una modernità diffusa, ha svolto nel mondo un ruolo propulsore delle notti magiche della sua Estate Romana, trasformandole in un necessario rito contemporaneo, in una festa tribale tenace e persistente a dispetto di un’incipiente globalità che, nonostante il significato del termine ormai abusato, non desidera perdere occasione per ritrovarsi nel villaggio e nel quartiere. Da allora ogni metropoli, come ogni piccolo centro, sente di dover consumare il proprio rito tribale, mettendo in scena una plurima umanità connessa alle pietre del sito urbano che ne accoglie le gesta. Renato Nicolini riscrive, come un nuovo Ugo Foscolo, l’Estate Romana in forma di altrettanti sonetti nei quali risuona, sovvertita, l’epica di quelle stesse genti dalle quali il Poeta zantesco si ritrova “correndo”, dove la “petrosa” città è finalmente complice dell’ “inclito verso” del nuovo Virgilio che porta a Roma luci, suoni, spettacoli. La sua mancanza non resta “illacrimata” per aver saputo lavorare sui temi dell’ineguaglianza, tra Rousseau e Marx, vicinissimo com’era alle posizioni di Galvano Della Volpe che certamente mai avrebbe sospettato di aver, per suo tramite, potuto suscitare l’effimero: ogni qual volta si preconizza l’insorgere di una società senza classi, egualitaria, cercando di integrare posizioni che – per astuzie politiche o sciatte semplicità tassonomiche – sono pervicacemente tenute contrapposte, si rischiano appellativi simili. Non appena ho parlato di questa idea ai miei più cari amici e illustri colleghi – in modo niente affatto nostalgico – tutti hanno aderito con entusiasmo in quanto essa intercettava l’esigenza di aprire un ponte tra cronaca e storia al fine di consegnare a quest’ultima i migliori momenti del recente passato, motivati dal desiderio di dare spessore a un presente continuo, setacciando le fasi più significative dei recenti trascorsi.
La ricucitura che Renato Nicolini ha voluto realizzare dopo e durante lo strappo degli anni di piombo è stata giudicata dalla cronaca – chissà cosa farà la Storia – effimera, a dimostrazione che quando ci si avvicina a pagine tristi di storie vissute, il dolore della società si può solo lenire, mai far scomparire totalmente. Però l’idea fantastica che la vita vinca sulla morte, espressa con la festa e il carnevale, rimanda a Eros che vince su Thanatos, a Iside su Osiride. Ma gli Dei, si sa, non sono impermanenti.
Quanto sopra ci spiega che la città con i suoi splendori e le sue contraddizioni non può porre ostacoli allo svolgimento della festa, all’impeto di questa forza dirompente protesa verso il futuro che, come l’angelo del quadro di Paul Klee descritto da Walter Benjamin, quando viene preso nel flusso del vento impetuoso del progresso, si sradica da un passato ormai devastato e viene trascinato verso il futuro.
È con questi intendimenti, privi di accenti nostalgici o di retro pensieri, che il Comitato scientifico ha invitato alcuni autori ed accolto la partecipazione di un selezionato numero di aderenti. Sono state dettate quindi alcune regole comuni – sempre necessarie, anche quando come è giusto queste vengono interpretate in modo estensivo e/o anche in parte trasgredite – tese da un lato a trascinare gli architetti verso il mondo della pittura, dall’altro ad assegnare un tema molto specifico agli altri artisti, notoriamente poco disposti a seguire indicazioni troppo vincolanti che non siano direttamente connesse a un intimo sentire.
Ma l’Estate Romana non è solo architettura e città, è molto di più, ed è proprio questo plusvalore che doveva trovare esplicita forma artistica. Innanzi tutto è un momento collettivo di genti che manifestano pacificamente e con nuovi linguaggi sociali un desiderio ancestrale di sentirsi parte di una comunità di simili in festa, intenti a condividere una celebrazione laica in spazi molto diversi tra loro, storici, periurbani, naturalistici. Poi è un momento nel quale il palco urbano viene definitivamente sottratto al monopolio dei partiti politici e dei sindacati per essere consegnato a una cultura di massa, che esce dalle sale chiuse dei teatri e dei varietà per trasferirsi negli spazi aperti della città. Sappiamo quanto tutto ciò abbia turbato il Partito e i Sindacati, lenti a percepire e ad anticipare il cambiamento in atto. E proprio in questo risiede la genialità e il coraggio di Renato Nicolini, certamente non interessato a misurare i rischi delle mancate opportunità che gli sarebbero derivati da tali operazioni.
Paradossalmente il Cavaliere, con le televisioni private, ha raccolto, per l’inerzia della sinistra, tale desiderio di libertà della società italiana, ovvero ha realizzato spinto soprattutto dall’interesse personale ciò che il Partito non aveva capito si sarebbe dovuto mettere urgentemente in atto: dare al popolo e soprattutto alle donne più libertà di essere (gli uomini avevano maggiori chances nell’organizzare i propri riti) e di manifestare le proprie irrinunciabili tensioni e pulsioni interne. Luciana Castellina, riflettendo recentemente sulla condizione delle donne comuniste nel periodo del dopoguerra, ha detto che nel Partito non si poteva parlare di amore, ma di famiglia, di sentimenti personali da condividere in libertà, ma di modelli comuni da coltivare. Pertanto tutti i partiti, non solo quelli di destra, da sempre coltivano un desiderio occulto nel mantenere lo status quo, che garantisce loro terreno di battaglia, realtà molto più importante della vittoria dello scontro politico dalla quale in ultima analisi nessun partito trae vantaggio, ma solo la società. Ed è per questo cinismo culturale della politica che quei vantaggi solo sociali vengono definiti effimeri.
Ma la vena satirica, prima che effimera di Renato Nicolini è radicata a Roma almeno da quando suo nonno, Giovanni (1872-1956), realizzò la Fonte Gaia (1898), detta anche dei Satiri (o dei Conigli), ricollocata a villa Borghese (dopo 30 anni, nel 1928), in Largo Giovanni Nicolini (titolazione del 2010), adiacente al laghetto sulle cui rive sorge il tempietto di Esculapio. Quante volte da piccolo il Nostro vi si sarà recato accompagnato dal padre Roberto, dalla madre e dal nonno. Sei mesi e mezzo dopo la dedica del Largo, il primo novembre del 2010 la testa del piccolo satiro – parte del gruppo scultoreo in bronzo che lo raffigura seduto sulle tese braccia di una giovane coppia di cui il maschio è caratterizzato da possenti gambe di fauno – fu separata dal corpo e rubata. Dopo qualche mese da questa vandalica decapitazione fu diagnosticata a Renato una malattia incurabile. Me lo disse nell’autunno del 2011, allorquando lo incontrai al MAXXI. Ma neanche in quella rivelazione così dolorosa osò privarsi di quel sorriso reso ironico da una bocca che, insieme agli occhi, gli conferiva il suo tipico sguardo volutamente asimmetrico: una garanzia rispetto a un mondo incentrato sulle pseudo certezze e sul verosimile anziché sul vero, un punto di vista che ci mancherà.
Era pertanto doveroso, da parte dalla comunità dei colleghi architetti e degli altri artisti, un tributo. Un ricordo a chi ha contribuito ad avvicinare la capitale italiana ai suoi abitanti e anche all’Europa in modo culturalmente elevato e, al tempo stesso, amichevole. L’Estate Romana ha avuto il merito di cogliere quella necessità di sentire insieme negli spazi della città da parte delle genti, dimostratasi per molti cittadini uno strumento di condivisione ancor più sentito delle manifestazioni di piazza, trasformando tale modalità d’uso dei luoghi urbani in un nuovo modo di manifestare. Tutto ciò ha fatto sì che il sentire insieme sia diventato un argine contro i soprusi provenienti dalla bassa politica, che troppo spesso minano dolorosamente i diritti dei cittadini, inverando nell’Estate Romana il desiderio di mettere in sintonia le genti che vivono la città durante l’intero arco dell’anno.
Pertanto quella che segue vuole essere, in veste di mostra pittorica e grafica, la testimonianza evocativa di una esperienza di massa di percezione e uso della città di Roma come somma di luoghi che si animano di una pluralità di significati. Una rete di emozioni possibili, tessuta da Renato Nicolini, per dare un’estate a tutti, ma soprattutto per restituire una città aperta alle genti. E i fatti di Berlino del 1989 sono successivi a questo desiderio. In conclusione, la mostra dei dipinti sull'Estate Romana di Renato Nicolini intende costituire un forte momento di aggregazione e condivisione anche di esperienze estetiche, puntando a sottrarre questo straordinario evento al passato e all'oblio attraverso una somma di opere volte a propiziare, in un momento difficile e oscuro qual è quello che stiamo vivendo, una nuova estate dell’essere.